Lunedì 07 Settembre 2020
Contagio da Coronavirus: in quali casi l’INAIL può agire in rivalsa contro il datore di lavoro?
Sulla base della normativa vigente, considerando che non è ancora stato emanato il Decreto "Aprile 2020", possimo fare il punto nei seguenti termini:
• Il Covid-19 viene considerato come un vero e proprio infortunio sul lavoro e, come tale, viene assoggetta alle norme che regolano questo evento.
- Il 2° comma dell art. 42 relativo al Decreto legge n.18 del 17 Marzo 2020 (Decreto Cura Italia) cita:"2.Nei casi accertati di infezione da coronavirus (SARS- CoV-2) in occasione di lavoro, il medico certificatore redige il consueto certificato di infortunio e lo invia telematicamente all'INAIL che assicura, ai sensi delle vigenti disposizioni, la relativa tutela dell'inforunato. Le prestazioni INAIL nei casi accertati di infezione da coronavirus in occasione di lavoro sono erogate anche per il periodo di quarantena o di permanenza domiciiare fiduciaria dell'infortunato con la conseguente astensione dal lavoro. I predetti eventi infortunistici gravano sulla gestione assicurativa e non sono computati ai fini della determinazione dell'oscillazine del tasso medio per andamento infortunistico di cui gli articoli 19 e seguenti ((dell'allegato 2 al decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali del 27 febbraio 2019, recante « Modalita' per l'applicazione delle tariffe 2019 ».)). La presente disposizione si applica ai datori di lavoro pubblici e privati"
- Con la Circolare n.13 del 3 Aprile 2020 l'INAIL ha confermato come infortunio sul lavoro il contagio da Covid-19 in occasione di lavoro
• Gli articoli 10 e 11 del D.P.R n.124 del 30 Giugno 1965 regolamentano l'azione di regresso dell'INAIL
- L'articolo 10 cita: "L'assicurazione a norma del presente decreto esonera il datore di lavoro dalla responsabilita' civile per gli infortuni sul lavoro. Nonostante l'assicurazione predetta permane la responsabilita' civile a carico di coloro che abbiano riportato condanna penale per il fatto dal quale l'infortunio e' derivato. Permane, altresi', la responsabilita' civile del datore di lavoro quando la sentenza penale stabilisca che l'infortunio sia avvenuto per fatto imputabile a coloro che egli ha incaricato della direzione o sorveglianza del lavoro, se del fatto di essi debba rispondere secondo il Codice civile. Le disposizioni dei due commi precedenti non si applicano quando per la punibilita' del fatto dal quale l'infortunio e' derivato sia necessaria la querela della persona offesa. Qualora sia pronunciata sentenza di non doversi procedere per morte dell'imputato o per amnistia, il giudice civile, in seguito a domanda degli interessati, proposta entro tre anni dalla sentenza, decide se, per il fatto che avrebbe costituito reato, sussista la responsabilita' civile a norma dei commi secondo, terzo e quarto del presente articolo. Non si fa luogo a risarcimento qualora il giudice riconosca che questo non ascende a somma maggiore dell'indennita' che, per effetto del presente decreto, e' liquidata all'infortunato o ai suoi aventi diritto. Quando si faccia luogo a risarcimento, questo e' dovuto solo per la parte che eccede le indennita' liquidate a norma degli articoli 66 e seguenti. Agli effetti dei precedenti commi sesto e settimo l'indennita' d'infortunio e' rappresentata dal valore capitale della rendita liquidata, calcolato in base alle tabelle di cui all'art. 39"
- L'articolo 11 prevede: "L'Istituto assicuratore deve pagare le indennita' anche nel casi previsti dal precedente articolo, salvo il diritto di regresso per le somme pagate a titolo d'indennita' e per le spese accessorie contro le persone civilmente responsabili. La persona civilmente responsabile deve, altresi', versare all'istituto assicuratore una somma corrispondente al valore capitale dell'ulteriore rendita dovuta, calcolato in base alle tabelle di cui all'art. 39. La sentenza, che accerta la responsabilita' civile a norma del precedente articolo, e' sufficiente a costituire l'Istituto assicuratore in credito verso la persona civilmente responsabile per le somme indicate nel comma precedente. L'Istituto puo', altresi', esercitare la stessa azione di regresso contro l'infortunato quando l'infortunio sia avvenuto per dolo del medesimo accertato con sentenza penale. Quando sia pronunciata sentenza di non doversi procedere per morte dell'imputato o per amnistia, il dolo deve essere accertato nelle forme stabilite dal Codice di procedura civile."
Ciò significa che nel caso in cui il datore di lavoro o un suo dipendente vengano condannati per un reato perseguibile d'ufficio, quindi in caso di morte del lavoratore, l'assicuratore pubblico può agire in regresso verso il datore di lavoro stesso, sia per il caso di omicidio colposo che per quello di omicidio doloso.
Le lesioni personali dolose e quelle colpose sono disciplinate rispettivamente dal art. 582 e dall'art. 590 del Codice Penale e prevedono:
- Art. 582 del Codice Penale: "Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. Se la malattia ha una durata non superiore ai venti giorni e non concorre alcuna delle circostanze aggravanti previste negli articoli 583 e 585, ad eccezione di quelle indicate nel numero 1 e nell'ultima parte dell'articolo 577, il delitto è punibile a querela della persona offesa."
- -Art.590 del Codice Penale "Chiunque cagiona ad altri per colpa una lesione personale è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a euro 309. Se la lesione è grave la pena è della reclusione da uno a sei mesi o della multa da euro 123 a euro 619, se è gravissima [c.p. 583], dellareclusione da tre mesi a due anni o della multa da euro 309 a euro 1.239. Se i fatti di cui al secondo comma sono commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena per le lesioni gravi è della reclusione da tre mesi a un anno o della multa daeuro 500 a euro 2.000 e la pena per le lesioni gravissime è della reclusione da uno a tre anni.Se i fatti di cui al secondo comma sono commessi nell'esercizio abusivo di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato o di un'arte sanitaria, la pena per lesioni gravi è della reclusione da sei mesi a due anni e la pena per lesioni gravissime è della reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni. Nel caso di lesioni di più persone si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse, aumentata fino al triplo; ma la pena della reclusione non può superare gli anni cinque.Il delitto è punibile a querela della persona offesa [c.p. 120; c.p.p. 336], salvo nei casi previsti nel primo e secondo capoverso, limitatamente ai fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale"
In pratica, come detto prima, in caso di morte del lavoratore si avrà sempre un reato perseguibile d'ufficio. Per ciò che riguarda le lesioni, quelle dolose saranno perseguibili solo se di durata superiore a 20 giorni e in assenza di aggravati di legge mentre quelle colpose, "limitatamente ai fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale", se di durata maggiore a quaranta giorni e se determinano lesioni gravi o gravissime, quindi invalidanti, saranno altresì perseguibili d'ufficio. Relativamente alle lesioni colpose lievi e lievissime, invece, l'INAIL non potrà mai agire in regresso verso il datore di lavoro, anche se queste siano riconducibili ad evidenti violazioni delle norme antinfortunistiche o presentino sentenza penale di condanna.
Considerando che, è la prima volta che una malattia acuta viene considerata infortunio, bisognerà capire quali sono le violazioni che potrebbero essere ritenute rilevanti per la determinazione di lesioni gravi o gravissime e che quindi potrebbero portare ad un'azione di regresso dell'INAIL.
In più, tenendo conto del fatto che abbiamo una produzione continua di norme legislative non sempre chiare ed armoniche, decifrare quali siano le situazioni che potrebbero portare a violare "le norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro" non sarà un problema di facile risoluzione.
Secondo il Protocollo per la sicurezza negli ambienti di lavoro del 14 Marzo 2020 per il contenimento della diffusione del Covid-19, al momento della ripresa delle attività lavorative bisognerà:
-riorganizzare gli spazi e le postazioni di lavoro, per assicurare un'adeguata distanza di sicurezza tra i lavoratori;
-intervenire sui turni e sull’ orario di lavoro, con l'obiettivo di contenere la presenza di dipendenti;
-bonificare e riorganizzare le mense aziendali, i punti di ristoro, gli spogliatoi, i servizi igienici ed ogni altro locale a disposizione dei dipendenti, e garantire un adeguato ricambio d’aria, disponendo la riduzione al minimo dei tempi di occupazione e fruizione degli stessi;
-intervenenire sulla gestione dell’entrata e dell’uscita dei lavoratori, ricorrerendo ad orari scaglionati e con differenti ingressi per l’entrata e l’uscita dagli stabilimenti;
-la temperatura corporea dei dipendenti dovrà essere controllata all’ ingresso, impedendo l’accesso a chi avesse una temperatura superiore a 37,5°.
-fornire ai dipendenti le indicazioni del ministero della Salute e dell’I.S.S. sulla prevenzione dell’ epidemia, mettendo a loro disposizione prodotti detergenti e disinfettanti per le mani.
-fare ricorso diffuso a dispositivi di protezione individuali come guanti e mascherine e adottare tutte le misure atte ad impedire il contagio dei lavoratori.
-secondo quanto previsto dalla nota n. 89 emessa il 13 marzo 2020 dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro bisognerà raccogliere in un allegato del D.V.R. (documento di valutazione dei rischi) la procedura per l’ individuazione delle misure di prevenzione e tutela dei lavoratori da Covid-19
-secondo l’art. 2087 del Codice Civile: “L’ imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’ esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’ integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.“
• Giungiamo quindi alla conlusione che, se il contagio del lavoratore fosse, con certezza, riconducibile alla violazione delle norme sopra citate e la durata della malattia fosse inferiore a 40 giorni, sicuramente l’INAIL non potrebbe effettuare alcuna azione di regresso contro il datore di lavoro. Se invece la malattia avesse una durata superiore a 40 giorni o avesse causato un’invalidità permanente, l’INAIL potrà presentare azione di regresso ma solo in presenza di certa violazione delle norme antinfortunistiche con condanna penale del datore o di un suo dipendente; infine,nel caso in cui la malattia avesse esito infausto e per esso vi fosse condanna penale del datore di lavoro o di un suo dipendente, anche in assenza di violazione di norme antinfortunistiche “o relative all’igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale“, l’INAIL potrebbe esperire azione di regresso anche in assenza di violazione di dette norme.
Nel caso di perdita del regime di esonero della responsabilità civile da parte del datore, il lavoratore colpito dal virus o i suoi aventi causa potranno agire contro il datore di lavoro per il risarcimento dei danni “differenziali” non coperti dalla garanzia INAIL.
• Sarà essenziale leggere quanto previsto dalle C.G.A per capire se tali azioni (di regresso da parte dell'INAIL e di risarcimento del danno differenziale da parte del lavoratore o i suoi aventi causa) possano rientare in garanzia nella polizza RCO.